Donne in montagna |
Scritto da Paolo | |
giovedì 20 dicembre 2007 | |
Essere donna in montagna nelle nostre valli, fino al secondo dopoguerra, significava condurre una vita di grandi sacrifici e fatica. Le valligiane, oltre ad occuparsi della casa e dell'educazione dei figli, svolgevano un ruolo di primaria importanza nella vita contadina; gravava infatti sulle donne gran parte del lavoro agricolo, anche quello più faticoso e disagevole, in altri luoghi riservato agli uomini. Spesso si trovavano da sole a sostenere il peso della famiglia e delle attività rurali. La precarietà della vita di montagna spingeva molti, infatti, in special modo gli uomini, ad emigrare. Partivano alla volta delle Americhe o per l'Australia appena sposati e stavano lontani anche per diversi anni. In alcuni casi si facevano in seguito raggiungere, una volta sistemati, dalle mogli. Frequentissima era poi l'emigrazione stagionale verso la Francia, la Svizzera o la Lombardia; riguardava in maniera pressoché esclusiva i capi famiglia o comunque i giovani. Così nella stagione estiva, quando l'attività agricola si faceva intensa, rimanevano al paese solo donne, bambini e anziani. Se da un alto questo rappresentò uno svantaggio, dall'altro permise indubbiamente alle donne di raggiungere un certo grado di emancipazione ed autonomia, a differenza delle contadine di pianura, in tutto e per tutto dipendenti dagli uomini. Le valligiane per necessità dovevano gestire l'economia della famiglia e gli uomini maturavano la considerazione della donna come un' indispensabile collaboratrice. In una moglie, oltre alla dote, seppur importante, l'uomo cercava aiuto e sostegno per la gestione della famiglia; così le qualità migliori di una buona moglie erano la forza, la buona salute e la capacità di lavorare. I fatto che le attività rurali erano affidate essenzialmente alle donne era anche causa di una certa mancanza di innovazione nelle tecniche agricole; la poca istruzione era uno dei motivi di questa riluttanza alle novità. E' pur vero che anche gli uomini avevano un'istruzione più che modesta ma a questa carenza sopperivano, in qualche modo, con la possibilità, emigrando, di conoscere luoghi ed usanze diverse e disporre, così, di una maggiore apertura mentale. Quando la maggior parte degli uomini, in primavera, emigravano, le donne, coi bambini ed i pochi uomini rimasti, si recavano all'alpeggio. Il valle Cannobina, in particolare, i paesi rimanevano praticamente deserti. La vita all'alpe era particolarmente impegnativa; oltre ad accudire gli animali, fra le attività più pesanti c'era fare l'erba; le donne di buon mattino uscivano e si avviavano, a piedi scalzi, nei prati con la sfera, una grande gerla di circa un metro e mezzo di altezza per un metro di diametro. Per ogni sfera di fieno occorreva raccoglierne tre d'erba. I luoghi della raccolta erano anche molto lontani dall'alpeggio, talora su pendii scoscesi, dove di frequente le valligiane si esponevano a gravi pericoli; anche gli ex voto ci parlano delle molte disgrazie occorse alle donne intente ai lavori all'alpe. Le donne per scacciare la fatica e a volte vincere la nostalgia, spesso cantavano, sia nelle brevi pause dal lavoro che durante i trasferimenti. Alla sera era uso concludere la faticosa giornata all'alpe con canti. Talora i cori si rispondevano da un alpe all'altra. Caratteristica era, in particolare, la discesa delle ragazze al paese, il sabato pomeriggio, per assistere alla messa; in fila indiana, con le sfere ricolme d'erba ed il vestito festivo, iniziavano il cammino intonando canti. Si facevano diverse soste, poiché il carico sulle spalle raggiungeva anche i quaranta chili, ed ognuna era la scura per intonare un canto; quelli più belli erano riservati per la sosta dalla quale, prima dell'arrivo, si cominciava a vedere il paese e i gruppi che scendevano dagli altri alpeggi. Oltre al fieno le donne si occupavano del trasporto di prodotti agricoli, legna, carbone, pietre, raggiungendo pesi inimmaginabili, fino a 70 chili in valle Vigezzo. Le donne arrivavano, infatti, dove a volte i precari e disagevoli sentieri impedivano il trasporto su muli. Il fatto che venissero chiamate “bestie a due gambe” la dice lunga sul faticoso lavoro delle donne! Il prezzo di tutto cio' era un rapido invecchiamento; a sessant'anni avevano la schiena ricurva, piegata dalle troppe, pesantissime gerle portate su e giù per gli impervi sentieri delle valli. Neppure la sera le valligiane riposavano; si riunivano nelle stalle e vegliavano (la vela) attendendo ad altri lavori prettamente femminili; cardavano e filavano la canapa, che loro stesse avevano coltivato e preparato, filavano la lana, cucivano, preparavano le suole delle calzature di stoffa mentre le giovani si preparavano con tela di canapa il corredo nuziale. |
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Ultimo aggiornamento ( martedì 01 aprile 2008 ) |